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Settembre 2014.
Una delle mie prime interviste per La Donna Sarda. Ricordo ancora l’emozione che avevo provato varcando l’ingresso del Centro di Documentazione delle Donne che era, a quel tempo, in via Lanusei.
Annalisa Diaz era seduta a un tavolo, il pacchetto di sigarette vicino a dei fogli che stava consultando. Avevamo parlato a lungo. Io ero, come si può essere all’inizio di un viaggio, carica di entusiasmo, un fiume in piena, una giovane giornalista praticamente sconosciuta, eppure lei aveva risposto a tutte le mie domande, mi aveva dedicato un bel po’ del suo tempo.
Ero consapevole di essere davanti a una donna che aveva fatto del suo impegno una ragione di vita.
Un’esistenza, la sua, in prima linea, indagando dentro se stessa e tracciando nuovi percorsi che potessero incidere come esperienza reale viva. Praticando la politica del desiderio. Come femminista. Da avvocata a insegnante di diritto al Martini a deputata.
Le avevo chiesto il perché le donne in politica fossero così poche. Lei mi aveva risposto: «Le donne secondo me sbagliano. Scaricano, senza prendere posizione, la colpa sugli uomini. Nel partito e nelle istituzioni. Nella vita di tutti giorni. O costruiscono relazioni forti tra di loro, si confrontano, fanno squadra, altrimenti non ne caveranno mai piede. Il legame patriarcale deve essere annullato da un legame più forte: il filo delle donne, da donna a donna».
Lei ci credeva così tanto da essere divenuta responsabile del Centro, prima Libreria delle donne, un luogo che non aveva mai smesso di formulare cultura, valorizzare il sapere elaborato dalle donne.
Forte e indomita. Ha sempre combattuto con coraggio e determinazione. Carattere da vendere e anima libera. Un esempio di fermezza.
Oggi lascia un vuoto e con lei, lo ammetto, è come perdere un pezzettino di me, di quella ragazza che aveva iniziato, credendoci con tutta se stessa, a fare la giornalista.
Grazie di tutto Annalisa.
Federica Ginesu