Laboratorio di scrittura a partire da sé
Omaggio a Giulio Angioni (2) – 23.2.2017
Collana Scritti di getto
Dopo letture da Giulio Angioni, 2015, “Sulla faccia della terra”, Feltrinelli/ ed.Il Maestrale:
Un libro che cos’è, pag. 68; Luna meridiana, pag. 83; Quelli che arrivano, pag. 109.
R.C.
Dirsi per farsi conoscere. Dagli altri che abbiamo appena incontrato, ma anche da noi stessi, ché forse nella valanga di disgrazie che ci è capitata addosso – come succede nei tempi dei grandi rivolgimenti – siamo cambiati talmente tanto da essere diventati sconosciuti anche a noi stessi, da non sapere più chi siamo.
E allora bisogna provare a dirsi. Magari dicendo solo “banalità”, cose semplici che tutti possano condividere: in questo modo trovi cenni d’assenso, affermazioni di condivisione, e persone sconosciute riescono a trovare quel denominatore comune, magari piccolo, ma solido, sul quale provare a costruire un legame più articolato e duraturo.
P.D.
Un’emozione forte, anche nella rilettura, condivisione con una umanità dolorante, soffocata dalla guerra e dalla fame, imposta per l’occasione dai Pisani.
La lingua, il suo ritmo, rivela le poche essenziali verità che il giovane garzone del vinaio di Seui ha capito molto chiaramente: la diffidenza, il sapersi arrangiare, l’usare tutti i pochi mezzi disponibili per sopravvivere.
R.D.
Per “tutti quelli che hanno scelto di vivere con noi nell’Isola Nostra, i beni comuni e inesauribili dello spirito sono più preziosi dei beni privati e consumabili del corpo..”
L’Isola Nostra è l’isola dei nostri ideali, delle nostre aspirazioni e speranze, quella che sogniamo quando impariamo a non chiedere “niente se non a noi stessi”; non a prendere ma a dare. L’Isola che non c’è, ma che può essere di tutti: disperati, eretici, scismatici, come li chiama l’episcopo pisano; che non può esserci tolta,se noi vogliamo, perché “non solo di pane vive l’uomo, ma persino di favole e illusioni”, che non si abbandonano con l’infanzia, ma anzi si rafforzano, se le illusioni sono di giustizia e buon vivere.
“No,diceva Paulinu, non era obbligo, né illusione. Era necessità che non ci fosse chi cade senza aiuto e chi prevale.” “ Dal fare di Paulinu si capiva molto, dal suo dire di meno.”
La necessità, la convenienza del bene. Se ne fossimo davvero convinti, se questo fosse il nostro fare, come quello di Paulinu, il mondo sarebbe un altro, fatto di Isole Nostre,in disordine e confusione meravigliosi: cristiani e maomettani, servi e padroni nella follia dell’uguaglianza, Arca santa di una nuova umanità. Sogno necessario a chi vuole “dare un senso all’orrore”, nella condivisione del racconto della propria esperienza. “ecco la voglia di recupero, prima di tutto di se stessi. Ecco le donne che riescono meglio a darsi nel racconto”.
Il racconto di sé è darsi, è dono e condivisione, premessa di una condivisione più ampia. Questo aspetto mi colpisce, fra i molti che, di questa affermazione, possono far riflettere.
Capiterà che a conclusione del pasto comune si finisca col parlare “del sapere messo per iscritto”,cioè del libro e di ciò che significa. Ed è significativo che tutti partecipino in situazione di parità, uomini e donne di livello diverso sia culturale che sociale, a sostenere ognuno a modo proprio, la potenza del libro, che arriva a loro anche per vie traverse. Ma soprattutto questo scambio fra “ persone colte e persone incolte” è, senza che venga esplicitato, un riconoscimento forte a una cultura popolare in genere non riconosciuta, ma consistente e anche consapevole di sé.
M. E. G.
Liberi dalla voglia di prevaricazione, ricchi di sentimenti di fratellanza, di solidarietà.
Tanto i beni materiali si accumulano ma facilmente si perdono.
Nelle segrete episcopali c’è tempo per riflettere sulle iniquità compiute dagli stessi pastori della Chiesa che utilizzano la loro autorità per depredare il gregge.
I beni dello spirito sono comuni ed inesauribili più preziosi dei beni privati e deperibili di quelli del corpo.
Paulinu dà all’episcopo di turno una lezione evangelica, una giusta interpretazione della misericordia di Dio in quanto complice e amico dell’uomo e che non crea gerarchie.
R.S.
Il libro è come il cibo, necessario. Intorno al libro cambiano le gerarchie sociali; anche un servo, per quanto gli sia vietato, può imparare a leggere e in questo modo capire meglio il mondo.
Il libro parla se sappiamo farlo parlare, ma noi dobbiamo essere capaci di ascoltare.
Che strano gruppo ci propone l’autore: chi dice che un libro gli ha salvato la vita, chi dice che un libro che si consuma in realtà cresce, chi per via di un libro diventa saggio, chi capisce che comanda chi sa leggere e scrivere e fa mestieri di penna e di città.
E’ un gruppo di donne e uomini che amano raccontarsi, cercare le parole, tirare qualche filo e sbrogliare la matassa della propria vita.