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[Nota: Il testo è la trascrizione di un intervento al seminario “Tre passi nella violenza”, promosso dalla Biblioteca Universitaria di Cagliari, dalla Rivista online SardegnaSopratutto, dall’Istituto Gramsci della Sardegna, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. L’iniziativa si è svolta il 28 novembre 2015, presso la Sala Settecentesca della Biblioteca Universitaria di Cagliari.]

La didattica tradizionale, soprattutto se utilizzata nell’inconsapevolezza, può condizionare pesantemente il processo formativo lasciando segni incurabili.

Le cause di tali danni possono essere riassunte nel seguente schema, il quale presenta i limiti di ogni sintesi che non tiene conto delle eccezioni:

– Le/gli studenti sono solo teste: il loro corpo, con il linguaggio che ogni corpo possiede, viene solitamente trascurato; l’insegnante ha perfino la pretesa che il corpo sia un dato irrilevante e che nel tempo della scuola se ne possa prescindere. Nemmeno egli/ella tiene conto del proprio, dimenticando quanto da giovane osservasse, giudicasse, interpretasse l’aspetto fisico dell’insegnante!

– Le/gli studenti sono uguali: in nome di un astratto ideale di uguaglianza, uomini e donne, culture ed estrazioni sociali diverse, esperienze e storie a volte distanti l’una dalle altre, si appiattiscono e perdono le loro singolari qualità. Il linguaggio universale, di marca maschile anche se usato con l’intenzione della sua neutralità, elimina le differenze e pertanto nega la realtà stessa.

– Raramente si lascia spazio alla presa individuale della parola e al ragionamento libero: l’insegnante è solito/a prestabilire i tempi e le modalità della partecipazione, che viene favorita e apprezzata se non disturba il normale svolgimento della lezione, e se conferma l’obiettivo più o meno esplicito del lavoro.

– Si privilegia la quantità: l’urgenza del programma, stabilito forse con criteri estranei alla situazione reale in cui si opera, costringe alla fretta; curare la qualità comporterebbe un impiego del tempo e delle energie che spesso viene confuso con lo spreco e la dispersione.

– Nel lavoro delle singole discipline si applicano modelli e linguaggi estranei, lontani dall’esperienza e dalle realtà in cui le nuove generazioni vivono e crescono: quella estraneità è uno dei motivi che generano il senso di inadeguatezza e la fatica dell’apprendimento.

– In luogo del colloquio diretto, lo strumento di verifica ormai più diffuso è il questionario: per quanto se ne offrano varie tipologie, in esso i quesiti vengono solitamente costruiti sul presupposto che il vero si distingua dal falso, e che pertanto non vi sia spazio per il dubbio.

– Il giudizio dell’insegnante si esprime attraverso il voto, un sistema di valutazione che privilegia il risultato di un processo invece del percorso compiuto. Il riferimento della/dello studente è l’insegnante, a cui rendere conto esclusivamente: le relazioni all’interno della classe muoiono perché si trasformano, più o meno velatamente, in una competizione nella quale vince “il più forte” (altrimenti detto “il più bravo”).

Ma la scuola va osservata tenendo conto di un contesto sociale e politico più grande, dal quale essa stessa riceve una violenza spesso mascherata:

– E’ in atto un processo di precarizzazione generalizzato, diverso dalla precarietà temporanea tipica di ogni percorso professionale: la precarizzazione del lavoro è ora una condizione esistenziale, che viene risparmiata soltanto a un esiguo numero di privilegiati.

– Si nega il diritto/dovere dell’aggiornamento: l’insegnante consuma dentro la scuola una quantità straordinaria di tempo in attività spesso estranee alle sue autentiche competenze. La cura della propria professionalità richiederebbe risorse e possibilità di movimento, che l’attuale ordinamento scolastico non riconosce come valore.

– Il trattamento pensionistico non tiene ormai in conto alcuno la delicatezza e la complessità del lavoro scolastico: l’insegnante che fosse giunta/o al limite delle sue forze vitali non riceve il rispetto dovuto, ed è costretta/o a lavorare in assenza delle motivazioni necessarie.

– Il preside, in genere professionalmente capace di sostenere la sua scuola e chi la abita, è stato sostituito dal dirigente il quale, non necessariamente adatto a svolgere questo compito, dispone di uno straordinario potere:
a) nomina gli/le insegnanti supplenti
b) assegna i ruoli funzionali all’organizzazione del suo istituto
c) valuta, entrando nel merito della professionalità docente
d) dispone di un procedimento disciplinare, che può dare adito al licenziamento
dell’insegnante.

I mass-media non sempre raccontano le manifestazioni di insegnanti, personale non docente e studenti che, nelle piazze, ogni giorno lamentano e denunciano i danni di questa “buona scuola”.

La prima e più grande violenza è che la scuola non viene ascoltata.